L’AMAREZZA PER UN SUICIDIO – Arnaldo Pangrazzi

Crying woman

Mio caro…


ti scriviamo per dirti quanto ci manchi
e com’è cambiata la vita
da quando ci hai lasciati.


Siamo ancora sconvolti dal tuo gesto
e ci rammarica il fatto
di non esserci mai detti addio.


Abbiamo versato così tante lacrime
cercando di addentrarci nella tua mente
per capire la tua disperazione,
le tue ragioni per rinunciare a sperare.


A volte siamo risentiti con te,
per l’immenso dolore che ci hai dato.
Talvolta ci sentiamo in colpa,
per non aver saputo prevenire la tragedia.


Purtroppo non abbiamo potuto scegliere per te,
altrimenti tu saresti ancora qui con noi.
ti pensiamo spesso, anche quando i ricordi
ci invadono di malinconia.


Nonostante lo sconforto e l’amarezza,
non abbiamo rinunciato a vivere la nostra storia,
a fare progetti per il futuro.


Forse ci avrai visto sorridere ogni tanto.
Il nostro augurio è che tu abbia trovato
la pace che cercavi.


La nostra speranza è di poter riabbracciarti
alla fine dei nostri giorni.
Ci manchi molto.

I tuoi famigliari.

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Il lutto che segue ad un suicidio

  • Immagini ricorrenti
  • Interrogativi
  • Si poteva prevenire?
  • Sensi di colpa
  • Senso di rifiuto ed abbandono
  • Vergogna e isolamento
  • Messaggi di addio
  • E per i genitori di figli che si sono suicidati?
  • Se ci sono bambini, come parlare di un suicidio in famiglia?
  • E se quei bambini sono degli adolescenti?
  • Da leggere
  • Chi vi puo’ aiutare?
  • Ci potete aiutare?

La perdita di una persona amata, quale che sia stata la causa della morte, provoca sempre un indicibile sofferenza ed apre un percorso che è doloroso sia fisicamente che nell’area delle emozioni. Ogni morte lascia un vuoto incolmabile: ci si sente come amputati di una presenza unica che non potrà più essere rimpiazzata.
Le emozioni di chi sperimenta il suicidio di un familiare sono simili a quelle che attraversano anche le persone che subiscono perdite diverse, (vedi anche il capitolo “Il lutto e la sua elaborazione” ), ma lo stato di shock e di isolamento sociale, le sensazioni di colpa e di abbandono sono ancora più forti e durano più a lungo. Al dolore e alla sofferenza si aggiungono un continuo interrogarsi e un arrovellarsi sui mille possibili “perché?”. Il fatto che, in qualche modo, la morte sia l’effetto di una scelta, provoca una serie di domande che una morte per malattia o incidente non suscita. Per molti, inoltre, si aggiunge la tormentosa sensazione di essere stati abbandonati e rifiutati.
I familiari superstiti di un suicidio si ritrovano spesso ad affrontare non solo tutte le reazioni tipiche che seguono la morte di una persona cara, ma anche una serie di problematiche specifiche.

Immagini ricorrenti

Una delle manifestazioni più comuni è il ricorrere delle immagini della scena della morte, anche quando non la si è vista. Vedere il corpo della persona morta è un trauma durissimo, particolarmente se siete stati voi a trovarla e ancor più nei casi di morte violenta.
È normale avere incubi frequenti e sentirsi perseguitati dalla scena della morte.
Parlare di quello che è successo e tornare a ripercorrerne nel racconto i dettagli, può, in alcuni casi, alleviare la pena acuta che queste immagini inducono.
Se però queste immagini si presentano in modo talmente ossessivo da interferire troppo con la vostra vita quotidiana, è bene parlarne al medico di fiducia.

Interrogativi
Ogni morte suscita in chi rimane molte domande e tanti “perché”. Ma una morte per suicidio inevitabilmente porta a una ricerca più assillante, intensa e prolungata. Ogni membro della famiglia può darsene una spiegazione diversa e questo può facilmente mettere a dura prova le relazioni familiari, particolarmente quando ci si inizia ad accusare a vicenda.
Molte persone riescono a convincersi che non riusciranno mai a sapere davvero perché chi si è tolto la vita l’abbia fatto.
Anche se la morte può essere sopravvenuta in seguito a una particolare circostanza, in genere il suicidio non ha una causa unica che può averlo provocato.

Si poteva prevenire?

Chi è rimasto ripensa continuamente, ossessivamente, a tutto quello che si sarebbe potuto fare per salvare la persona dal suicidio.
Quando ci si pensa a posteriori tutto sembrare improvvisamente molto chiaro. “E se avessi dato peso a quel segno o a quella frase?”, “E se non fossimo partiti quel week-end?”, “E se fosse stato meglio ascoltato?”. I “se” sono infiniti.
È importante ricordarsi che, in una persona che pensa al suicidio, i cambiamenti di comportamento possono essere molto graduali e che è estremamente difficile rendersi conto di quando una persona è arrivata al punto di volersi togliere la vita. Spesso, neanche i medici e chi si occupa di salute mentale si rendono conto della gravità del rischio. Inoltre, chi ha deciso di togliersi la vita può diventare molto abile a nascondere il suo progetto.

Sensi di colpa


Quando qualcuno si suicida, familiari e amici sono assaliti da continui ed esasperanti sensi di colpa e dal bisogno di interrogarsi costantemente.
“Non passa giorno che io riesca a non chiedermi il perché. Non passa giorno che il senso di colpa non mi trascini, sempre più giù, fino a sprofondare. Mi angoscia pensare che forse noi tutti, come famiglia, avremmo potuto fare qualcosa per cui non avrebbe preso questa decisione e sarebbe rimasto con noi. Non riesco a perdonarmi tutte quelle cose orribili che ci siamo detti e mi chiedo perché non gli ho detto allora, quando ancora potevo, tutte quello che ora gli vorrei dire?”.

Sicuramente può aiutare confidarsi con una persona di fiducia e vedere le proprie emozioni in una prospettiva più realistica. Se però non volete dare voce ai vostri sentimenti, sforzatevi almeno di non assumere su voi stessi tutta la colpa e la responsabilità: questo non è certamente facile, ma provate, ad esempio, a scrivere una lista delle cose che avete fatto per aiutare la persona scomparsa. Ricordate anche che non potevate prevedere il futuro e che nessuno è responsabile per le azioni di un’altro. Nessuno è perfetto e le ragioni di un suicido sono sempre molto complesse. Cercate di perdonarvi se avete detto o fatto cose che ora rimpiangete.
Se vi sembra che le sensazioni di colpa non accennano a diminuire, prendete in considerazione di parlarne al vostro medico, di frequentare un gruppo di mutuo aiuto o di parlarne con un counsellor.

Senso di rifiuto ed abbandono

Chi rimane – molto spesso – si sente respinto e abbandonato da chi si è tolto la vita.
“L’angoscia principale era che non fosse neppure venuto a parlarci. Penso che ad un certo momento eravamo tutti arrabbiati. Penso spesso: ‘ma come ci ha potuto fare una cosa simile?'”
A volte il sentirsi respinti può provocare sensi di inadeguatezza: si può pensare di non valere nulla e aver paura di ulteriori rifiuti, rischiando così di isolarsi anche da chi davvero potrebbe porgere aiuto e sostegno.
Può darsi che chi si è tolto la vita fosse così preoccupato dai propri problemi da non riuscire a pensare a nessun’altro, oppure può aver pensato che gli altri sarebbero stati meglio senza di lui o lei.

Vergogna e isolamento

“Avevo bisogno di sentire quello che viene detto a chiunque perda una persona amata: ‘mi dispiace per il tuo dolore. Ti sono vicino. C’è qualcosa che posso fare per te? Se hai voglia di parlare, ti ascolto volentieri. Posso anche essere una buona spalla per piangere’. Avevo bisogno di sapere che chi lo diceva, lo diceva con sincerità. Nessuno invece vuole parlare del suicidio. Tutti pensano che è meglio non dire nulla, che se non se ne parla, si dimentica più rapidamente e si sta meglio. Per me invece era proprio il contrario.”

Benché l’atteggiamento della nostra società nei confronti del suicidio sia molto cambiato, il silenzio che circonda chi rimane rischia di colpevolizzarlo e rinforzare un senso di vergogna.
Se gli altri sono imbarazzati, a disagio ed evasivi, è inevitabile che vi sentiate isolati e che perdiate le occasioni per parlare della persona scomparsa, per ricordare e celebrare tutti gli aspetti della sua vita.

Vi potrà accadere di sentire la necessità di proteggere voi stessi e la persona scomparsa dal giudizio degli altri. Non c’è nulla di strano nell’isolarsi a causa del senso di colpa o per un senso di vergogna o semplicemente perché avete bisogno di stare da soli per qualche tempo. Gli amici a volte non si fanno vivi perché non sanno cosa dire e hanno paura di ferirvi: dire agli amici che tipo di aiuto vi può servire può a volte semplificare i rapporti.
Una buona terapia per uscire dall’isolamento si è dimostrata quella di prendere parte a gruppi di mutuo aiuto.

Messaggi di addio

Spesso chi si toglie la vita lascia dei messaggi. Se esprimono affetto, chiedono perdono o in qualche modo esonerano chi resta da responsabilità, possono essere fonte di conforto. Se il gesto non era assolutamente previsto, un messaggio può almeno eliminare qualsiasi incertezza sul fatto che si tratti di un suicidio.
Succede tuttavia che, a volte, questi messaggi possano essere spiacevoli, dolorosi e colpevolizzanti. È importante ricordarsi che le parole lasciate riflettono soltanto uno stato d’animo circoscritto ad un momento specifico e di particolare turbamento.
Non necessariamente il messaggio aiuta a spiegare tutte le motivazioni di un gesto così auto-distruttivo, ma può essere straziante non trovare alcun messaggio.

E per i genitori di figli che si sono suicidati?

La morte di un figlio è una esperienza devastante, ma il fatto che un figlio abbia voluto “scegliere” di morire e si sia tolto la vita rende questo evento ancora più insopportabile in quanto può sembrare uno specifico rifiuto di voi come genitori. Potreste sentire di aver fallito perché non siete riusciti a prevenire il gesto e a dare aiuto e potreste arrovellarvi e chiedervi se qualcosa che avete detto o fatto abbia potuto influenzare la sua decisione.

Vi potreste sentire in colpa per non aver notato cose che, ripensandoci, avrebbero potuto essere colte come segnali premonitori. Scoprire oggetti che non sapevate in suo possesso può farvi scoprire che non era proprio chi pensavate.

Vi potreste colpevolizzare per non aver capito che era così terribilmente infelice. Potreste sentirvi mal giudicati dagli altri. Nessuno però è un genitore perfetto: cercate invece di ricordare tutto ciò che di buono avete fatto come genitore.

Se avete altri figli, avranno ancora più bisogno di voi. Chiedete ad altri membri della famiglia o ad amici di aiutarvi finché non vi siate un po’ ripresi dal trauma. Nel caso in cui abbiate paura che altri figli siano a rischio, cercate di parlarne con il medico di famiglia o uno psicoterapeuta. Incoraggiate gli altri figli ad esprimere le loro emozioni e discutete con loro di quanti modi diversi ci sono per affrontare i problemi. Tuttavia, sforzatevi di non diventare iperprotettivi ed assillanti. Mettete in risalto le loro qualità e fate attenzione a che non sentano di dover rimpiazzare il fratello scomparso.

Se è un figlio unico ad essersi tolto la vita, vi sembrerà che non ci siano più speranze o progetti per il futuro e che la vostra vita non abbia più scopo. Cercate però di ricordare che quel figlio sarà sempre parte di voi e che il suo ricordo vi accompagnerà per sempre.
Se avete perso un figlio adulto, vi potreste sentire meno circondati di affetto rispetto alla famiglia di vostro figlio e appesantiti dal senso di responsabilità nei confronti dei nipoti, anche se spesso non si riesce a fare molto per loro. Fate attenzione a non manifestare rabbia o accuse nei confronti del partner rimasto davanti ai figli.

Madri e padri vivono la perdita in modi diversi. Spesso questo crea difficoltà nel rapporto: è difficile condividere le emozioni dolorose e convivere con la sofferenza dell’altro. In alcuni casi ci si rinfacciano a vicenda colpe e responsabilità e si può arrivare a mettere in questione il rapporto di coppia. In altri casi, sostenersi a vicenda e condividere la sofferenza può rafforzare il rapporto.
Nel caso di coppie separate o divorziate la situazione è ancora più difficile. Il genitore che non viveva con il figlio può sentirsi escluso, trascurato o anche colpevolizzato.

Se ci sono bambini, come parlare di un suicidio in famiglia?

Non è assolutamene facile parlare ai più piccoli della morte, tanto più quando si tratta di una morte per suicidio. Ma quando riuscirete a farlo sarete soddisfatti di essere stati onesti e di essere riusciti a superare una tale difficoltà (vedi anche il capitolo “Il lutto e i bambini” ).

Che un bambino venga a scoprire per caso del suicidio di un genitore o di un familiare è infatti veramente molto traumatico: è quindi meglio essere chiari ed onesti fin dall’inizio. È facile che i bambini finiscano per sentirsi traditi se capiscono che non gli è stata detta la verità. Con i più grandicelli, è soprattutto difficile valutare la profondità e la qualità delle loro emozioni, nonché il bisogno che hanno anche di informazioni chiare su quanto è successo, poiché spesso, per proteggere i familiari, nascondono le loro emozioni.
È per questo che è necessario parlare con loro, usando parole semplici che sono in grado di capire e incoraggiandoli a parlare e a fare domande. È probabile che vostro figlio vi voglia ripetere sempre le stesse domande: ascoltate cosa chiede, anche se le domande vi sembrano sciocche o irrilevanti: cercate di rispondere con coerenza ed onestà. Spesso i bambini non riescono ad assorbire le informazioni tutte in una volta: siate quindi pronti a ripetere più volte la storia di cosa è successo. Questo li aiuta a venire a patti con la loro perdita e ad accettarla.

È possibile spiegare ai bambini cosa è successo dicendolo un po’ alla volta, in un periodo di tempo più breve o più lungo a seconda dei bisogni, delle richieste e dell’età dei bambini. È importante però usare un linguaggio semplice e diretto ed evitare frasi quali “è andato in un mondo migliore” o “si è addormentato”: dal momento che i bambini tendono in generale a capire le cose nel loro senso letterale potrebbero ad esempio decidere di non voler andare a dormire per la paura di non svegliarsi più. È comunque importante che i bambini capiscano bene che la persona non tornerà più.

Se avete fede in una vita dopo la morte, ne potete parlare con i bambini, spiegando che è su questa terra che non vedranno più quella persona. È anche importante che i bambini non sentano in alcun modo di avere qualche responsabilità per la morte avvenuta così come è essenziale rassicurarli del fatto che sono amati e fonte di gioia.

E se quei bambini sono degli adolescenti?

Una morte in famiglia è sempre un’esperienza devastante: può essere però particolarmente difficile per gli adolescenti che stanno contemporaneamente affrontando tutte le pressioni e le difficoltà legate a questa fase del loro sviluppo.
È probabile che i figli adolescenti trovino difficile esprimere le loro emozioni. Li potete aiutare dimostrando attenzione ed ascolto per quello che dicono, incoraggiandoli a esprimere il loro dolore nel modo che è loro più congeniale: magari attraverso la musica, o disegnando, o scrivendo poesie o riflessioni.
È importante rendersi conto del fatto, e accettarlo, che il loro modo di vivere la perdita può essere diverso dal vostro: potrebbero rinchiudersi silenziosamente in se stessi o piangere e gridare. Cercate di essere pazienti se sono arrabbiati ed irritabili. Cercate di parlare tutti insieme, in famiglia, e di cercare di esprimere la vostra sofferenza.
I ragazzi più grandi potrebbero volersi allontanare da una casa che è piena di dolore e potrebbero aver bisogno di tempo da soli, per pensare, o di tempo con i loro amici. Infatti, potrebbe essere che gli sia più facile parlare con gli amici o con persone al di fuori della cerchia familiare.

Cercate di non essere esageratamente protettivi, e incoraggateli ad uscire e divertirsi se ne hanno voglia.
Se è uno dei vostri figli che si è tolto la vita, cercate di non idealizzarne il ricordo, perché questo potrebbe creare dei problemi con i fratelli rimasti.
Se temete che i vostri figli siano depressi o nutrano pensieri suicidi, parlatene con una persona di fiducia, con i medici del centro di salute mentale, al consultorio familiare, con una persona religiosa di vostra fiducia o con un professionista come uno psicologo, un psicoterapeuta.


Chi vi può aiutare?

Entrare in contatto con altri che hanno vissuto simili esperienze dolorose di perdita, poter condividere con loro la propria sofferenza, sapere di avere a portata di telefono o … di tastiera qualcuno disponibile ad un ascolto autentico e non giudicante, può essere di grande sostegno.

Entrare in un gruppo di mutuo aiuto, confrontarsi con altri e imparare a sostenersi reciprocamente può dare grande conforto. Per saperne di più e trovarne uno nella vostra area, visitate la nostra sezione “Auto-mutuo aiuto”, nel menu di sinistra.

Da Febbraio 2013 abbiamo attivato un gruppo di auto mutuo aiuto online solo per chi è sopravvissuto al suicidio di un caro: il gruppo è sulla piattaforma offerta da yahoo e si chiama “La mia stanza”. E’, come gli altri gruppi di auto mutuo aiuto online, uno spazio riservato e protetto in cui potersi esprimere con libertà e con la sicurezza di essere ascoltati da pari, da persone che conoscono l’esperienza che si attraversa. Se siete interessati a partecipare, scriveteci e vi contatteremo.

 

Oltre a quanto presentato nella sezione “Siti amici”, nel menu di sinistra, indichiamo di seguito altri indirizzi italiani e stranieri che vi possono essere di aiuto:

http://www.soproxi.it

Progetto legato all’Università di Padova per il sostegno e l’informazione di familiari ed amici di persone che si sono suicidate. Hanno attivato un forum per i sopravvissuti ad un suicidio, sul loro sito sono presenti molte testimonianze di chi sa cosa vuol dire perdere un caro con un suicidio, ed è anche attiva una chat, per un’ora alla settimana.

http://www.deleofundonlus.org

La Deleo fund è una associazione di Padova che offre aiuto a coloro che hanno subito la morte traumatica di una persona cara. Hanno un forum con una sezione dedicata solo a chi ha conosciuto il suicidio di una persona amata (“Rompere il silenzio”) e un numero verde da poter chiamare quando si ha bisogno di aiuto e sostegno: 800168678. 

http://www.afipres.org
L’A.F.I.PRE.S. (Associazione Famiglie Italiane Prevenzione Suicidio) è una associazione di volontariato con sede a Palemo, nata con l’obbiettivo di impegnarsi in campagne per la prevenzione del suicidio e per il sostegno alle famiglie di giovani suicidi.
L’Associazione organizza gruppi di auto-mutuo aiuto per amici e familiari che hanno subito un lutto per suicidio e offre anche sostegno telefonico con un servizio denominato “telefono giallo” (091 6887912; 091 6859776) e tramite un numero verde 800 80 99 99.

http://www.samaritansonlus.org 

Samaritans è una organizzazione di volontariato nata in Gran Bretagna nel 1953, a Roma nel 1980. I Samaritans offrono ascolto telefonico – in assoluto riserbo e senza giudizio – a chiunque si trovi in una situazione di grande disagio emotivo, depressione, desiderio di suicidio. L’ascolto permette lo sfogo e l’espressione dello stato di disperazione e la possibilità di ritrovare, ascoltandosi parlare, una prospettiva diversa per inquadrare il proprio problema.
Il numero verde gratuito è: 800 86 00 22

http://www.telefonoamico.it
L’Associazione Nazionale Telefono Amico Italia offre – tramite l’ascolto telefonico – un servizio gratuito di emergenza per le persone in crisi. L’ascolto di chi chiama si svolge in totale riservatezza ed anonimato, nel totale rispetto della persona che chiama, in modo non direttivo ed indipendente da qualsiasi affiliazione politica o religiosa.

Il numero del Telefono Amico è: 199 284 284

http://www.telefonogiovane.it
Offre un servizio di ascolto telefonico gratuito per adolescenti e giovani che vivono un momento di crisi e difficoltà, che vorrebero parlare di temi che non riescono ad affrontare a scuola, o con familiari ed amici. Rispondono volontari giovani, adulti, insegnanti, medici. A richiesta, è possibile avere la consulenza di uno psicologo, un sessuologo, un ginecologo, un sacerdote, una neuropsichiatra.
Il numero verde è: 800 560 990

http://www.uk-sobs.org.uk/ 
Associazione britannica di “sopravissuti” al suicidio di una persona cara. Ricco in testimonianze e riflessioni.

Pianto

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