PSICOTERAPIA DI GRUPPO

 

Psicoterapia di gruppo - scuola di specializzazione

Psicoterapia di gruppo – Scuola di specializzazione

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La Psicoterapia di Gruppo è una forma di psicoterapia in cui l’intervento clinico viene effettuato in un setting gruppale.

La psicoterapia di gruppo può fare riferimento a vari tipi di orientamenti teorici (dinamici, cognitivi, etc.), e può articolarsi nei suoi vari modelli in maniera estremamente diversificata, da un polo supportivo ad un polo espressivo-elaborativo. La terapia di gruppo consiste solitamente in una terapia “verbale” (gruppi di parola), ma a volte è costituita o complementata da altre modalità terapeutiche, come le forme di terapia espressiva (solitamente di tipo arteterapeutico) o lo psicodramma.

Storia della terapia di gruppo

La terapia di gruppo, intesa in senso lato, nasce all’inizio del XX° secolo, in contesto medico e psichiatrico. Il lavoro pionieristico cui normalmente si fa risalire l’origine del movimento della terapia di gruppo è quello di Joseph Pratt, internista del Massachussets General Hospital di Boston, che nel 1905 avviò un gruppo di educazione/discussione per 15 pazienti ammalati di tubercolosi. Il gruppo aveva prevalentemente un focus educativo (era basato su letture di gruppo), ma prevedeva degli aspetti di supporto psicologico e di “impegno personale reciproco” tra i vari membri, che l’hanno classicamente fatto considerare come il primo “gruppo di supporto”.

L’applicazione della terapia di gruppo al contesto psichiatrico-psicoterapeutico viene invece fatta risalire al lavoro di Edward Lazell (che nel 1919 iniziò a riunire in gruppo e trattare con una “terapia della parola” pazienti psicotici), di Julius Metzl (uno dei pionieri del lavoro di gruppo con pazienti alcolisti) e di Trigant Burrow, il primo ad applicare la terapia di gruppo a pazienti nevrotici. Con i primi anni ’20, anche Alfred Adler, il primo grande dissidente psicoanalitico, iniziò a svolgere trattamenti di gruppo.

Fu però all’inizio degli anni ’30 che un forte impulso alla teoria ed alla pratica della terapia di gruppo derivò dal lavoro di Jacob Levi Moreno, che oltre ad aver sviluppato la tecnica del Sociogramma ebbe il merito di creare la prima forma di Psicodramma: una terapia di gruppo che si distingueva da quelle classiche per essere una “terapia attiva” (espressiva) più che una “terapia della parola”. Nel corso degli anni ’30 Rudolf Dreikus avviò i primi gruppi terapeutici privati, e Sam Slavson i primi gruppi terapeutici con bambini.

A metà degli anni ’40 alcuni psichiatri militari britannici con una formazione psicodinamica (tra cui Wilfred Bion e S.H.Foulkes), impegnati a supportare le truppe inglesi durante la Seconda guerra mondiale, iniziarono a sperimentare, nel Northfield Military Hospital, delle forme di intervento in piccolo gruppo per i soldati traumatizzati. La buona efficacia clinica del modello usato, insieme alla sua notevole “efficienza” in termini di “rapporto numerico” tra pazienti trattabili e terapeuti disponibili, segnarono una tappa decisiva nella diffusione e considerazione degli approcci clinici di gruppo. Sul lavoro successivo di Bion e Foulkes si fondò in seguito il versante europeo della Gruppoanalisi.

Verso la fine degli anni ’40, i contributi e gli studi sulle dinamiche del piccolo gruppo (Small Groups Dynamics) condotte da Kurt Lewin negli Stati Uniti permisero ai ricercatori ed ai clinici di evidenziare numerosi processi relazionali tipici dei gruppi; processi che vennero presto strutturati all’interno dei programmi di intervento clinico, e contribuirono ad aprire la strada ai forti sviluppi successivi della terapia di gruppo, anche in ambiti non psicodinamicamente orientati. Dagli Stati Uniti, ed attraverso la mediazione degli approcci Gruppoanalitici, la terapia di gruppo si diffuse a partire dagli anni ’60 anche in Europa, e gradualmente iniziò ad emergere in tutta la sua complessa differenziazione teorico-clinica attuale.

Tipologie di terapia di gruppo

Gli interventi di tipo supportivo possono essere di tipo informativo-educativo, di sostegno, di supporto al problem-solving ed allo sviluppo dell’assertività, di riavvio all’autonomia funzionale in pazienti gravi, di condivisione tra pari (gruppi omogenei) di situazioni specifiche; sono frequentemente (ma non sempre) ad orientamento teorico cognitivo.

Nella maggior parte dei casi questi interventi gruppali hanno luogo in due tipi di contesti: in quelli clinico-psichiatrici e riabilitativi (CSM, Comunità terapeutiche, gruppi di sostegno per pazienti psichiatrici), o in quelli ambulatoriali per problematiche di media-lieve entità (gruppi tematici).

Gli interventi di tipo espressivo-elaborativo, solitamente di orientamento dinamico, possono essere di tipospeciale/focalizzato (su aree o problematiche particolari), oppure di tipo gruppoanalitico (con un focus più ampio). Quelli di tipo speciale hanno luogo solitamente in contesti clinici strutturati (Comunità, SERT, etc.), mentre quelli gruppoanalitici si implementano solitamente in ambito privato.

Forme particolari di “psicoterapia di gruppo” (intesa in senso più o meno lato) sono i Debriefing, gli interventi di tipo sistemico/familiare, i gruppi di auto-aiuto, i gruppi clinico-educativi degli AA/CAT (Alcolisti Anonimi / Club Alcolisti in Trattamento) e lo Psicodramma.

Confronto con le forme di psicoterapia individuale

Gli approcci terapeutici gruppali presentano alcuni vantaggi rispetto a quelli classici “duali”: permettono di trattare più persone con minori risorse (uno o due terapeuti gestiscono gruppi di 6-12 persone); sono più economiche per i pazienti (che si suddividono la spesa relativa all’onorario del terapeuta); sono cost-effective per i Sistemi Sanitari (migliore efficienza della spesa); permettono soprattutto di sfruttare gli specifici processi psicologici di gruppo all’interno della relazione clinica, per migliorare l’efficacia di alcuni tipi di intervento.

In molte occasioni, il gruppo si pone infatti come “terzo elemento” della relazione terapeutica, permettendo ai pazienti di osservare e comprendere meglio i propri pattern relazionali in un contesto più naturale e complesso rispetto alla semplice interazione diadica col terapeuta. L’osservazione delle interazioni altrui, e di quelle del gruppo nel suo insieme, permette inoltre di derivare importanti inferenze su dinamiche comunicative e di ruolo spesso di notevole rilievo clinico. Le dinamiche interattive del gruppo sono infatti in molti casi uno degli elementi fondamentali del materiale clinico utilizzato, assieme alle esperienze passate dei componenti del gruppo ed alle loro esperienze di vita al di fuori del gruppo.

Gli svantaggi sono rappresentanti dalla minore efficacia clinica per certi tipi di problematiche cliniche, dalla necessità di una formazione specialistica per gli operatori, dalla difficoltà di gestire certi tipi di dinamiche di gruppo, dall’imbarazzo di molti pazienti di interagire in un setting clinico gruppale.

La selezione dei pazienti. È più facile identificare le persone per le quali la terapia di gruppo non è appropriata piuttosto che coloro per i quali è appropriata. In generale, i pazienti affetti da una forma acuta di psicosi o di depressione, gli psicopatici o chi ha problemi connessi all’abuso di sostanze non sono buoni candidati per questo tipo di terapia, benché i gruppi specializzati possano apportare loro qualche beneficio. I contesti ospedalieri consentono scarsa flessibilità per quanto riguarda la selezione dei partecipanti, perché di solito tutti i pazienti vengono inseriti in gruppi. I contesti non ospedalieri forniscono al terapeuta maggior controllo su chi possa opportunamente diventare membro di un gruppo.

La preparazione dei pazienti. La maggior parte dei terapeuti cerca di fare almeno un minimo di conoscenza con i singoli partecipanti prima di inserirli in un gruppo. Oltre a contribuire alla selezione, questa fase aiuta il terapeuta a preparare i partecipanti all’esperienza di gruppo, per esempio informandoli sulle regole di base, quali l’obbligo di mantenere la più assoluta riservatezza su quanto emerge all’interno del gruppo e la necessità di astenersi da comportamenti aggressvi. La preparazione di partecipanti è associata a tassi inferiori di abbandono, a minori silenzi improduttivi e a risultati migliori e può mostrarsi uno dei fattori più importanti per la piena riuscita del trattamento di gruppo. La frequenza e la durata delle sedute. I gruppi in genere si incontrano per una o due ore una volta alla settimana. All’interno degli ospedali psichiatrici le sedute di gruppo tendono a durare meno perché i pazienti ricoverati sono in genere più disturbati dei pazienti esterni e non sono in grado di affrontare lunghe sedute. La coesione. In generale si ritiene che quando vi è coesione di gruppo, quando cioè i suoi membri si sentono coinvolti nel gruppo o provano un senso di lealtà nei suoi confronti, essi partecipano più volentieri, con un’adesione più piena, e sono più aperti agli interventi terapeutici. La conclusione. Idealmente, un gruppo giunge a conclusione quando tutti i suoi membri hanno raggiunto i loro obiettivi terapeutici, ma ciò si verifica assai di rado. Fattori extraterapeutici – fondi insufficienti, membri che si trasferiscono etc. – giocano spesso un ruolo chiave nel determinare lo scioglimento di un particolare gruppo. La conclusione della terapia di gruppo può indurre un’ampia gamma di emozioni, che vanno dalla felicità al senso di abbandono; tali emozioni e sentimenti diventano di solito argomenti di discussione per il gruppo.

Modelli di terapia di gruppo

In prima istanza è importante operare una prima distinzione tra gli interventi gruppali di tipo supportivo e gli interventi gruppali di tipo espressivo.

Rientrano nella prima categoria approcci volti all’accrescimento dell’autostima, delle abilità di problem solving, della gestione dello stress. Nella maggior parte dei casi in questi interventi, aventi in comune obiettivi informativi-educativi, i fruitori condividono una situazione problematica. I membri del gruppo, sono sollecitati dal leader, in un clima di accettazione, a esprimere liberamente le difficoltà, le paure, e le conseguenze connesse alla tematica. Esempi di gruppi supportivi sono: gruppi di arte-terapia, gruppi di gestione dello stress, gruppi di gestione dell’ansia e/o degli attacchi di panico, gruppi per il controllo della rabbia, gruppi per malati terminali, training di assertività, trainig di problem-solving, ecc.

In tutti questi casi gli obiettivi che attraverso la psicoterapia di gruppo si vogliono raggiungere sono il sollievo dai sintomi e l’acquisizione di competenze. In sostanza, il successo di questo tipo di gruppi viene spesso valutato con la scomparsa o il miglioramento di una sintomatologia consistente, grazie all’apprendimento di nuove strategie fino a quel momento sconosciute. In genere i pazienti più adatti a partecipare a questo tipo di gruppo sono quelli che hanno difficoltà ad esprimere verbalmente le proprie emozioni e sentimenti, che interiorizzano i sentimenti in modo autodistruttivo e che hanno uno scarso senso dell’identità.

I gruppi con carattere espressivo-interpretativo sono uno valido strumento volto al cambiamento e alla crescita personale. Essi dunque operano principalmente nell’area intrapsichica che, a cascata, porta delle trasformazioni anche a livello interpersonale, sintomatico e di acquisizione di nuove competenze. Tra questa tipologia di gruppi, ricordiamo l’analisi gruppo, il modello Tavistock, la gruppoanalisi e i gruppi umanistici-esistenziali. Grazie ai feedback del terapeuta e degli altri partecipanti, ogni membro comincia a prendere maggiore consapevolezza di sé e delle proprie dinamiche ed, eventualmente, a cambiare ciò che merita di essere cambiato. Di fatto il personale e genuino modo di essere molto presto si presenterà nel gruppo, tanto che ogni individuo ripropone nel gruppo le stesse dinamiche interpersonali che caratterizzano la sua vita relazionale. Nel corso del gruppo il paziente apprende a considerare sia i commenti positivi che le critiche negative come feedback costruttivi al fine di assumere un comportamento più cooperativo.

Principali funzioni dei gruppi

A prescindere dall’orientamento di base del gruppo terapeutico, alcune funzioni sono presenti in ciascuna terapia di gruppo. Secondo Yalom, i fattori terapeutici generali validi per tutti gli approcci gruppali sono:

– universalità: il paziente trae beneficio dal rendersi conto che tutti i suoi sintomi possano essere condivisi; – acquisizione di nuove informazioni: la pluralità che caratterizza il gruppo è fonte, inevitabilmente, di notizie e chiarimenti sui problemi condivisi;

– instillazione di speranza: il farsi coraggio vicendevolmente mobilità l’ottimismo tra i partecipanti e la sensazione di potercela fare;

– cambiamento del copione familiare: il gruppo consente la messa in scena, attraverso un delicato gioco di transfert e controtransfert, di vecchi drammi familiari, che con la presenza esperta del terapeuta possono essere rivisitati e cambiati al fine di raggiungere migliori livelli di benessere;

– altruismo: i partecipanti al gruppo sperimentano l’importante vissuto di essere non solo bisognosi ma anche competenti e in grado di soddisfare richieste altrui, attraverso le loro indicazioni o suggerimenti;

– sviluppo di tecniche di socializzazione: il gruppo svolge una fondamentale funzione di specchio. I partecipanti attraverso feedback e risposte aiutano e sono aiutati nell’acquisizione di una più accurata autopercezione. La nuova consapevolezza è alla base per un successivo cambiamento di interazione sociale;

– comportamento imitativo: ogni paziente ha la possibilità di osservare e prendere a modello gli aspetti positivi del comportamento degli altri partecipanti e del terapeuta;

– apprendimento interpersonale: ogni partecipante, per migliorare la propria patologia, deve attraversare diversi stadi. In primo luogo è indispensabile rendersi conto delle proprie modalità di interazione sociale e delle conseguenze che esse hanno sugli altri e su se stesso, quindi, deve modificare tali modalità, attraverso la sperimentazione, nel gruppo, di nuovi comportamenti e infine deve verificare se essi risultano effettivamente più adeguati e rispettosi per tutti;

– coesione di gruppo: i partecipanti sperimentano la sensazione che qualcosa di importante sta per avvenire all’interno di un contesto protetto e accogliente. La coesione di gruppo altro non è che la percezione dell’esistenza di un setting o un contenitore le cui “pareti” sono formate dai vari membri e dalla loro voglia di far parte del gruppo;

– catarsi: il contesto gruppale sviluppa la potenzialità liberatoria attraverso l’immedesimazione nell’altro e nelle sue problematiche;

– fattori esistenziali: non costituiscono di per se un fattore di cambiamento ma una consapevolezza necessaria affinché gli eventi avversi della vita possano essere vissuti con meno drammaticità. Essi comprendono la responsabilità, la solitudine, il senso dell’esistenza, la morte.

Qui di seguito viene presentato un modello di terapia di gruppo così come è applicato dall’ASPIC.

Le sedute di gruppo consistono in incontri periodici, di circa 15 persone, il cui scopo principale è l’espressione di sentimenti e vissuti in un ambiente protetto ed il raggiungimento della consapevolezza delle proprie dinamiche interne ed interpersonali. Si tratta di un gruppo di evoluzione e sviluppo personale dove ciascuno dei partecipanti ha la possibilità di effettuare un lavoro individuale in cui è assistito da un agevolatore e può utilizzare una o più componenti del gruppo in qualità di personaggi e/o figure della sua esistenza e/o della sua immaginazione. Alla base del buon funzionamento del gruppo vi sono delle regole, che consentono ad ognuno di rispettare la libertà degli altri:

  • La riservatezza e confidenzialità: non si deve parlare al di fuori di quanto accade nel gruppo. La discrezione darà la libertà necessaria per esprimersi liberamente;
  • L’astinenza da relazioni sessuali tra i componenti del gruppo: relazioni speciali esterne inibiscono a vicenda i partecipanti coinvolti;
  • Il non fumare: consente di utilizzare creativamente le motivazioni e le tensioni che portano all’atto sterile e dannoso del fumare;
  • Il tempo a disposizione fisso: fa si che ognuno utilizzi il gruppo lasciando spazio agli altri;
  • Esprimersi invece di dialogare: durante tutte le fasi dell’incontro di gruppo non è consentito dialogare con la persona che in quel momento ha la parola, anche quando si viene direttamente interpellati da essa.
  • Il basta davvero: è una formula convenzionale che, pronunziata da chi sta compiendo un’esplorazione in profondità, gli permette di interrompere il suo lavoro, richiamando il gruppo a sospendere e fermare del tutto ed immediatamente l’interazione in corso;
  • L’esclusione di osservatori occasionali: permette al gruppo, libero di interferenze esterne, di raggiungere progressivamente coesione, solidarietà, complicità ed intimità.

Ma la regola aurea di ogni gruppo di sviluppo, come nella vita, è che “Ciascuno riceve nella misura in cui dà”. Le assenze dal gruppo sono quindi sempre una rinuncia ad un’opportunità di lavoro per sé, ma anche un’irresponsabile sottrazione di energie e di confronti emotivi per gli altri partecipanti.

La seduta di gruppo ha una sua struttura e attraversa delle fasi che corrispondono alle fasi i precontatto(inizio), contatto (durante) e postcontatto (fine). Nella fase iniziale i membri del gruppo sono invitati a partecipare brevemente a turno del loro vissuto iniziale: sentimenti, aspettative e a prenotarsi eventualmente per un’esplorazione. Inizia quindi la fase del vero e proprio lavoro in gruppo. Chi si è prenotato per prima inizia a parlare.

Durante questa esperienza individuale egli utilizza il gruppo per sé con l’aiuto dell’agevolatore. Infatti, uno o più membri del gruppo possono essere chiamati a partecipare al lavoro in qualità di personaggi e/o figure dell’esistenza e/o dell’immaginazione di chi sta lavorando. Essi, astenendosi dall’intervento, favoriscono l’esplorazione del partecipante.

Al termine del lavoro l’agevolatore chiede a chi ha effettuato l’esplorazione se vuole ricevere un feedback da qualcuno. I membri del gruppo, chiamati a dare un feedback, esprimono le percezioni, i vissuti, gli immaginari, i sentimenti generati in loro dall’esperienza di esplorazione individuale a cui hanno assistito o partecipato. In questo modo la persona che ha lavorato rielabora la sua esplorazione, arricchendola e amplificandola attraverso l’altro. La nuova consapevolezza evidenzia come il soggetto produce ciò che lamenta e come mutare creativamente le future interazioni.

DA:http://www.mentecorpomalattia.it/

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